I ROMANI E L'USO DELL'ACQUE
I Romani
furono un popolo in tutti i settori, ma nelle opere di pratica utilità il loro
ingegno spesso fu superiore che in quelle d'arte pura. Fiorirono presso di loro
tutte le opere d'ingegneria delle acque. Oltre a costruire strade e ponti, i
Romani realizzarono acquedotti, terme e cloache.
Gli acquedotti.
Immenso era il consumo
che i Romani facevano dell'acqua per usi domestici, per i bagni pubblici e
privati, per gli opifici, per i laghi artificiali dei molti giardini e per
l'abbeveramento dell'enorme quantità d'animali domestici e non e,
naturalmente, anche per mantenere la pubblica salubrità con la pulizia di
piazze e strade.
Per circa quattro secoli i Romani non ebbero che l'acqua del Tevere, dei
pozzi e delle fontane che sgorgavano in città. Un gran problema era
procurarsi l'acqua da fuori Roma. Nell'anno 442 il censore Appio Claudio
cominciò la costruzione di un acquedotto che, per mezzo di un lungo canale,
portò l'acqua a Roma da una distanza di 11 km. Da allora i Romani
costruirono altri acquedotti che così chiamarono: Acqua Appia, Acqua Anio,
Acqua Marcia, Acqua Giulia, Acqua Tepula, Acqua Vergine e Acqua Augusta.
Tali denominazioni così distinte furono imposte dal nome di colui che aveva
ideato o diretto l'acquedotto.
I vari canali, prima
d'entrare in Roma, depositavano l'acqua in vasti purgatori (Piscinae) dove si
ripuliva del limo e di ogni altra sostanza impura, quindi riprendeva il suo
corso ed andava a sboccare in sette punti diversi della città e dentro altri
cisternoni. Il fondo di questi cisternoni era traforato da tanti calici o imbuti
di piombo che davano inizio a condotte, sempre in piombo, sotto terra che
portavano acqua nelle case ed in ogni luogo che n'avesse necessità per usi
pubblici o privati.
La purezza e la salubrità delle acque furono, presso il popolo romano, oggetto
di particolare vigilanza con gravi pene pecuniarie a chi inquinava.
I nomi di tutti gli ispettori, custodi, operai e schiavi addetti alla
conservazione degli acquedotti erano scritti su pubblici registri; ripartiti
secondo la località ed i quartieri ai quali erano assegnati. Alla manutenzione
degli acquedotti provvedeva il Senato con i suoi decreti e leggi ben precise.
Nessuno poteva deviare o prendere l'acqua dai condotti sotterranei senza averne
avuta concessione dall'Alto Magistrato (Curator), pagando naturalmente una
tassa.
Tutti coloro che sono stati a Roma hanno visto nella gran distesa della campagna
romana delle lunghe serie d'archi, avanzi degli antichi acquedotti (a quei tempi
lunghi anche 25 km). Questi trasportavano a Roma, da zone circostanti, l'enorme
quantità d'acqua di cui la gran città aveva bisogno: tanto per gli usi
domestici quanto per i numerosi bagni pubblici e le fontane monumentali che
furono e sono sempre fra i suoi più splendidi ornamenti.
Vi erano, allora come oggi, acquedotti sotterranei, ma la maggior parte dei
canali che portavano l'acqua da fuori Roma erano appoggiati per lunghe file
d'archi e qualche volta sulla prima fila vi era una seconda fila, talvolta anche
una terza che sosteneva addirittura il condotto di un'altra acqua.
Le enormi arcate degli acquedotti passavano sopra torrenti e attraversavano
valli senza danneggiare le vie di comunicazione a quei tempi esistenti. Queste
lunghe file d'archi erano interrotte ogni tanto da serbatoi dove l'acqua era
purificata o distribuita nel condotto privato.
Le rovine degli antichi acquedotti sono la nota più spettacolare nella grande
campagna romana e non solo: tali rovine sono visibili tuttora in alcuni stati di
quello che fu l'impero romano.
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