Gli opifici e le filande

 

 

 

 

Le cartiere e opifici

La presenza dell'acqua ha favorito l'insorgenza di numerose cartiere, che hanno caratterizzato da lungo tempo la Vallata di Pescia e quella di Collodi.
Agli inizi del secolo nei comuni di Pescia e Villa Basilica si raggiungeva una densitą di 1 fabbrica ogni 80 abitanti.
Gli opifici erano di ridotte dimensioni, male situati e mal raggiungibili, ma giustamente ben collocati per sfruttare il pił possibile il "carbone bianco" (l'acqua) delle due Pescie, che metteva in azione le macchine per la produzione della carta e per la sua trasformazione.

 

Villa Basilica produceva esclusivamente carta paglia, prodotto che aveva uno smercio pił sicuro e non esigeva di competenza e diligenza di lavorazione, mentre nell'area Pesciatina c'era richiesta di lavorazione di stracci e "cartucce".
Qui, grazie all'opera dei Magnani, venne mantenuta la lavorazione degli stracci.

La diversitą di materia prima usata comportava una diversa organizzazione nella cartiera. Verso la fine degli anni venti con il censimento industriale del 1927 nei comuni di Pescia e di Villa Basilica, erano presenti circa 40 cartiere e davano lavoro a circa 800 persone.


Le Filande

A questa attivitą industriale era legata l'acqua (nella forma di vapore) per la trattura e la filatura della seta proveniente dai bozzoli del filugello.
Agli inizi del secolo, a Pescia, erano attive 14 filande con 243 bacinelle in funzione (nel 1925 la filanda "Mandorli" impiegava 180 donne, disponendo di 80 bacinelle).
Il lavoro nella filanda era svolto soprattutto da donne, che venivano chiamate "caldaiole".
All'epoca esistevano diverse filande ovunque, ma l'unica che usava il vapore era la ditta "Scoti", che realizzava la metą della seta prodotta a Pescia. Il loro prodotto era molto ricercato nei mercati esteri per la qualitą superiore.
Alcune curiositą sui modi e metodi di lavorazione sono state fornite da vecchie "caldaiole".
La stagione lavorativa poteva durare da 6 a 9 mesi, a seconda della produzione nell'annata.

Questo periodo veniva detto "trattura", quindi si poteva parlare di "trattura breve" o "trattura lunga".

 

I bozzoli provenivano per la maggior parte da Pescia e venivano scelti accuratamente per il colore, la sanitą e la forma. La scelta dei bozzoli veniva affidata a delle donne chiamate "bozzolaie". Si passava poi alla "stufatura" del bozzolo che consisteva nel far riscaldare in stufe i bozzoli, in modo da uccidere le crisalidi chiuse dentro. La filatura invece veniva fatta immergendo i bozzoli in bacinelle nelle quali giungeva il vapore o acqua calda, che facilitava la presa del filo ("bava") utilizzando anche speciali spazzole. Successivamente si effettuava la pulitura a mano.

Generalmente per formare il filo di seta occorreva la "bava" di 4 o 5 bozzoli, ma volte anche di 7.

La cura delle bacinelle veniva affidata ad una "maestra", a cui veniva affiancata una giovane detta "fattorina", questa poteva assistere anche due maestre. Ogni quattro bacinelle vi lavorava una donna detta "annotatrice" mentre un'altra operaia era addetta ai controlli (provini) di filatura, un'altra invece provvedeva alla raccolta delle crisalidi morte.

Le crisalidi venivano vendute sotto il nome di "vermocchi", utilizzati come mangime per uccelli in gabbia triturato insieme a fichi secchi, oppure usate come concime per terreno.

Alla fine le matasse di seta venivano controllate e spedite. Di operai maschi ve ne erano pochi, e generalmente si occupavano dei macchinari, infatti potevano essere meccanici o fuochisti per le caldaie. Il lavoro nella filanda era molto duro, l'ambiente di lavoro era molto umido e surriscaldato e le "caldaiole" avevano le mani piene di pieghe, dal contatto continuo con l'acqua calda o col vapore. Non esistevano ancora accordi o trattamenti speciali con i padroni e il salario per una giornata di lavoro (otto ore) nel 1925 era di £. 3,15 per le fattorine, di £. 7,20 per le maestre e di £. 9 per gli uomini.