Le concerie " la Cioncia " e "Ballare le Panelle" a Pescia



Le concerie

Esistevano a Pescia fabbriche rinomate per la produzione di pelli di vacca. Un detto popolare dell'epoca sosteneva che a Pescia si trovavano le migliori "vacchette" d'Italia.
Al censimento indetto dal ministero dell'industria del 1911 e aggiornato al 1916, risultavano a Pescia 6 concerie delle 628 funzionanti in Toscana. Si conciavano anche pelli provenienti dall'estero, trasportate su barocci a cavalli.
La concia fatta per serbare la pelle si articolava attraverso le fasi di rinverdimento, di calcinazione, di scarnitura, di sgrossatura ecc.  


La cioncia

Nella lavorazione della pelle si ricavavano anche altri prodotti, come ad esempio prodotti alimentari, che si ottenevano dalla preparazione del cuoio. Le pelli bovine macellate in loco, venivano sgrassate e ripulite da eventuali parti carnose ("carniccio"); nelle pelli di vacca ad esempio l'operazione di scarnitura dava luogo ad un prodotto calloso costituito dalle porzioni terminali degli animali come il musello, il collo, la vagina, l'ano, il ginocchio, ecc. Gli operai raccoglievano questi scarti in sporte o balle, fatte col biodane di padule, e se le portavano a casa. Questa era la ricompensa del lavoro di scarnitura e costituiva una pietanza povera, ma che a Pescia divenne famosa con il nome di Cioncia Pesciatini, oggi piatto di tradizione regionale, ottenuto dalle parti del musello, dalle parti interne, dalle labbra, dalla coda e raramente dalle zampe di vitello.


Ballare le panelle a Pescia

Ieri non esistevano le fonti energetiche di uso domestico di oggi, ma si doveva utilizzava la legna e il carbone vegetale, con il quale si scaldavano le persone e gli ambienti e si cucinavano i cibi.
Negli anni relativi all'ultima guerra, le numerose concerie di Pescia fornivano un'altra fonte energetica, quella detta del "mortellaccio": un residuo vegetale.
Il "mortellaccio" legato alla concia delle pelli, prevedeva l'impiego del tannino contenuto nella corteccia di una specie di quercia, comunemente detta "sughera". Questa corteccia veniva triturata e quindi posta in strati fra le pelli, inserite in vasche riempite successivamente di acqua distillata. A seconda del tipo di pelle che si voleva ottenere, si lasciava a bagno per 6, 9 o 12 mesi, consentendole di assorbire pił o meno tannino e quindi di assumere pił o meno consistenza.
La corteccia triturata formava il "mortellaccio" che acquistato da privati, veniva utilizzato per formare le "panelle". Il procedimento era molto semplice: prevedeva un impasto d'acqua e mortellaccio in modo da ottenere una massa compatta, che in porzioni veniva pressata dentro un apposito cerchio metallico di un certo spessore e diametro. Successivamente si pestava l'impasto a piedi nudi saltellandoci come in un ballo, da questo si diceva "ballare le panelle".
"La panella" era una piccola ruota ripiena e solida, che tolta dal cerchio veniva portata ad essiccare al sole. In quegli anni era facile incontrare alcuni giovani intenti a ballare "le panelle" nei pressi delle case, oppure nel greto del torrente Pescia. Dopo il lavoro di pressatura, queste panelle venivano sistemate in "castellina" per essere utilizzate.
"Le panelle" venivano impiegate come combustibile, nel grande focolare, per la cottura dei cibi, per scaldarsi e avevano un gran potere calorico; servivano quindi a tutta la famiglia soprattutto per quelle della concia, per scaldarsi nel lungo inverno.