Gli acquedotti

Famosi acquedotti romani e le sue acque

I Romani con le loro monumentali costruzioni hanno reso gli acquedotti imponenti, ma non possiamo dar loro il merito di avere introdotto (anche se vi hanno apportato migliorie) la tecnica della condotta delle acque. Questo sistema era gia conosciuto ed usato dal più antico popolo mesopotamico dei Sumeri. I loro condotti erano costruiti con mattoni ed a volta per avere un miglior drenaggio e un maggiore scolo delle acque. Lo stesso Strabone ci porta a conoscenza di un sistema chiamato "cochlis" per fare salire l'acqua ai giardini pensili di Babilonia. Nella città Assira di Bavian, un'iscrizione ci porta a conoscenza di un acquedotto a vasche degradanti che serviva a portare acqua potabile alla città di Nivive.

Molti degli acquedotti che troviamo scavati nella roccia in Giudea, in Samaria e in Galilea, sono di origine fenicia, ma gli stessi Fenici costruttori del celebre acquedotto di Tiro, appresero questa tecnica dagli Ittiti. Resti di condotti sono stati ritrovati nel palazzo di Cnosso, sotto un pavimento, altri ad Argo, a Micene, a Tirinto e Itaca. Omero stesso ricorda l'esistenza di questi condotti presso la casa di Ulisse. Gli acquedotti greci sono molto diversi e hanno anche diversa provenienza. Quelli che approvvigionavano la città di Atene e la circostante pianura fino al Pireo erano una complessa rete di condotti sotterranei costruiti in pietra e ricoperti di lastre oppure di tegole con pozzetti di aerazione. Poche e frammentarie sono le notizie che abbiamo in merito agli acquedotti etruschi, ma conoscendo le loro abilità e capacità idrauliche, si può senz'altro dire (senza essere smentiti) che la tecnica dei condotti scavati nel sottosuolo o nella roccia fosse già di loro conoscenza. Se invece dobbiamo parlare dell'acquedotto come monumentale opera sopraelevata non vi è alcun dubbio: è quello romano, come stanno a dimostrare le testimonianze scritte dal "curator aquarum" Frontino, Vitruvio e Plinio.

Oltre al libro scritto da Frontino, Vitruvio e Plinio (libro vitruviano), l'opera più importante sull'argomento è il “De aquæ ductu urbis Romæ” scritto da Sesto Giulio Frontino nel I sec. d.C., periodo in cui aveva l'incarico di "curator aquarum". Detto libro è composto da una prefazione e da diversi capitoli in cui tratta argomenti specifici come derivare l'acqua con tubi di piombo (“fistulæ”). Si parla inoltre degli addetti a ripartire in modo equo l'acqua nelle case e nelle vie e della regolare pulizia degli acquedotti ad opera dei fontanieri (“aquarii”) e delle astuzie (f”raudes”), così chiamate quelle "azioni" a cui spesso i fontanieri ricorrevano per fornire agli osti (“tabernarii”) una maggiore quantità d'acqua, a danno del pubblico. Come possiamo vedere molti anni, addirittura secoli, sono passati ma nulla è cambiato sotto il sole.

Quando erano in funzione i primi acquedotti, soltanto l'acqua in eccesso "acqua caduca" veniva concessa ai bagni pubblici e solo dopo aver pagato un canone. Invece l'uso dell'acqua per i privati, era gratuito oppure dato in cambio di servizi resi allo stato o come "beneficia principis".

Vitruvio invece ci porta a conoscenza di una amministrazione idrica ben diversa, elaborata da lui stesso o da Agrippa, nella quale, da parte dei privati vi era l'obbligo, sulla base di un contratto con lo Stato, di pagare una tassa. Con tale sistema si volevano eliminare tutti privilegi avuti con le concessioni individuali e gratuite e tutti gli allacciamenti abusivi. Leggendo le cronache di vita quotidiana dell'epoca si viene a conoscenza che, a Roma, nonostante le grosse canalizzazioni di piombo che portavano l'acqua dagli acquedotti alle abitazioni private, la si poteva utilizzare soltanto al pianterreno delle insulæ, dove abitavano i più facoltosi. Gli abitanti dei piani alti erano costretti a procurarsi l'acqua alla più vicina fontana e questo rendeva difficile la cura della pulizia. Giovenale nelle sue Satire cita spesso i portatori d'acqua (aquarii), segno che erano necessari alla vita collettiva d'ogni stabile. In effetti nessuna costruzione ci ha ancora rivelato le colonne montanti che avrebbero permesso di portare l'acqua ai piani più alti.

Per la costruzione degli acquedotti e per la loro, non meno importante manutenzione, il compito era affidato ai censori e in mancanza di loro agli edili aiutati da altri funzionari: adiutores, architecti, curatores, procuratores. Sotto l'aspetto finanziario erano preposti i censori, coadiuvati dai questori, mentre i magistrati amministravano il tesoro dello stato.

Nel 146 a.C. il pretore Marcio ebbe l'incarico dal Senato di fare riparare gli acquedotti logorati dal tempo (quassati venustate) e di infliggere pesanti pene verso quei privati che si erano allacciati alle condutture pubbliche in maniera abusiva (fraudes privatorum).

Agrippa, avuto il compito dall'Imperatore Augusto di occuparsi delle acque, lo portò a termine servendosi di 240 schiavi di sua proprietà. Alla morte di Agrippa, fu l'imperatore stesso ad assumere l'incarico della cura aquarum, attraverso un funzionario del senato, il curator aquarum, che da un suo apposito ufficio svolgeva l'incarico affidatogli. Colui che ricopriva detto incarico era posto ai livelli più alti della carriera pubblica, aveva privilegi e onori propri dei magistrati ed aveva a disposizione un vasto seguito di assistenti.

La specifica funzione dell'ufficio delle acque era quella di mantenere in piena efficienza gli impianti ed intervenire ove necessario per il suo completo ripristino, riportando così l'impianto alla sua massima capacità di approvvigionamento idrico. Numeroso personale faceva parte di questo ufficio. In esso vi erano: architecti o ingegneri idraulici, misuratori (libratores), quelli che mettevano in opera le tubazioni (plumbarii), gli operai (aquarii), i segretari, gli archivisti e gli amanuensi.

 

FAMOSI ACQUEDOTTI ROMANI E LE SUE ACQUE

L'ACQUA APPIA: fu portata a Roma da Appio Claudio Cieco, nel 512 a.C.; attraverso un acquedotto lungo circa sedici chilometri (quasi tutto sotterraneo) con una portata di acqua giornaliera di 73.000 mc. Detto acquedotto fu costruito con blocchi di tufo dotati di una cavità posta al centro del blocco.

L'ANIO VETUS: nel 272 a.C. il censore Mario Curio Dentato fece costruire il secondo acquedotto di Roma. Questo acquedotto si snodava per circa 63 chilometri ed anch'esso era interrato. Fu così chiamato perché l'acqua da cui proveniva aveva origine dalla valle dell'Aniene. La sua Portata totale era di centosettantacinquemilanovecentoventi metri cubi di acqua al giorno. E' da ricordare che un ramo secondario di questo acquedotto portava acqua alle terme di Caracalla.

L'ACQUA MARCIA: l'acquedotto dell'Acqua Marcia fu fatto costruire nel 114 a.C. da Q. Marcius Rex, pretore urbano da cui prende il nome. Le sorgenti da cui ebbe origine questo acquedotto si trovavano al Km 61,5 della via consolare Tiburtina Valeria.

L'ACQUA TEPULA: la costruzione dell'acquedotto fu ultimata nel 125 a.C. ad opera dei censori C.N. Cepione e L. Cassio Longino. La sorgente di questo acquedotto era presso i Colli Albani e le fu dato il nome di "Tepula" perché la sua temperatura non scendeva mai al di sotto dei 16-17 gradi (temperatura piuttosto calda per l'acqua). Essa seguiva lo stesso percorso dell'Acqua Marcia e la portata giornaliera era di 17.800 mc. A partire dal 33 a.C. attraverso un canale sotterraneo l'Acqua Tepula fu miscelata con l' Acqua Julia, rendendola così più gradevole.

L'ACQUA JULIA: l'acquedotto dell'Acqua Julia fu costruito da M. Vispasio Agrippa nel 33 a.C., con lo stesso percorso di quelli dell'Acqua Tepula e dell'Acqua Marcia. L'acqua che vi scorreva, oltre ad essere di ottima qualità era anche leggermente frizzante.

L'ACQUA VERGINE: fu portata a Roma da Agrippa nel 19 a.C. Le sue sorgenti sono vicine a quella dell'Acqua Julia. Questo acquedotto aveva un condotto tutto sotterraneo ed è ancora oggi in uso (nonostante i suoi duemila anni di storia). Quest'acqua alimentava anche le terme di Agrippa.

L'ACQUA ALSIETINA: detta anche Acqua Augusta, fu portata a Roma da Augusto nel 2 a.C. Partendo dai laghi Martignano e attraversando il Gianicolo, dopo aver percorso 32.815 metri, giungeva a Roma. Questo acquedotto aveva una portata di 15.600 mc. Poiché l'acqua era di origine lacustre è da immaginare che essa venisse usata solo per irrigare i campi o per allagare il circo dove venivano svolte le battaglie navali. Detto circo si trovava nelle vicinanze delle attuali piazza Santa Maria e piazza San Cosimato in Roma.

L'ACQUA CLAUDIA: questo acquedotto fu iniziato da Caligola nel 38 d.C. (insieme all' Anio Novus) ma terminato da Claudio nel 52 d.C. ed è tra le più grandiose realizzazione eseguite. L'acqua veniva prelevata nella valle dell'Aniene e seguendo un percorso di circa 69 km, di cui 15 allo scoperto e circa 16 su arcate di tufo, e in parte fiancheggiando altri grandi acquedotti come Acqua Marcia, Anio Vetus e Novus, l'acquedotto giungeva a Roma.

L'ANIO NOVUS: anche questo acquedotto, come quello dell'Acqua Claudia, fu iniziato da Caligola nel 38 d.C. e portato a termine da Claudio nel 52 d.C. Questo acquedotto prelevava l'acqua direttamente dal fiume Aniene (da cui il suo nome) e rappresenta senza dubbio la più imponente costruzione idraulica dell'antica Roma, con i suoi ottantasette chilometri di lunghezza di cui quattordici su archi ed una portata di duecentomila metri cubi al giorno. Questa costruzione permetteva di distribuire l'acqua anche alle zone più alte della città.

ACQUA TRAIANA: questo acquedotto fu costruito da Traiano nel 109 d.C. L'acqua veniva prelevata da alcune sorgenti nei pressi del lago di Bracciano e dopo aver percorso circa trentatrè chilometri, costeggiando la via Cassia, la Clodia ed infine l'Aurelia, giungeva al Gianicolo. Questo acquedotto servì anche ad alimentare le terme di Traiano.

ACQUA ALEXANDRINA: l'acquedotto Alessandrino è l'ultimo in ordine di tempo. Fu fatto erigere dall'Imperatore Alessandro Severo intorno all'anno 226 d.C. L'acqua giunge a Roma su tipiche arcate rivestite di laterizio e fu utilizzata anche per alimentare le terme Alessandrine che altro non sono che il rifacimento delle terme di Nerone nei pressi di Campo Marzio.

I nove più antichi acquedotti romani avevano una capacità totale circa 992.200 mq al giorno.

Se si pensa che la popolazione in età traianea a Roma era di circa un milione di abitanti, vi era una disponibilità di circa 1000 litri per abitante. Questo sta a dimostrare l'importanza che le autorità Romane dell'epoca davano all'acqua nella vita domestica di ogni giorno.

 

 

                      

      Acquedotto Alessandrino                                             Acquedotto Claudia 

 

                 

                     Acqua marcia                                                                           Resti di acquedotto