Tipi di coltivazione dell'olio in Valdinievole

 

 

 

 

 

 

Vecchie convinzioni sulla coltivazione dell'olivo



I vecchi contadini ritenevano che la coltivazione dell'ulivo avvenisse con il semplice criterio di sfruttamento. La loro convinzione era che la natura della pianta, fosse capace di rigenerarsi anche in situazioni di morte apparente e di conseguenza anche i frutti durassero in eterno.
Ha differenza della vite, i contadini curavano con molto più premura e annualmente praticando una potatura, una concimazione d'escrementi animali.
Invece all'ulivo gli si praticava il "rinterzo", i contadini l'applicavano ogni tre anni, consisteva nello spezzettare in tre parti l'appezzamento dell'oliveto. Ogni tre anni veniva praticato diverse cure colturali come: la concimazione, la potatura, molte volte si usa il (pennato o forbici da pota), spesso le potature erano cospicue da poter ricavare anche legna da ardere, invece di dare un assetto utile e più biovegetativo per la pianta stessa.
La conoscenza dei parassiti all'inizio era molta limitata, tanto da ignorare il vero nome (mosca o moscerino) dei parassiti; parassiti che oggi anno un nome scientifico come: la Mosca olearia, il Fleotripide, la Tignola, ed il Fleotribo detto anche "punteruolo", mentre tra i funghi ricordiamo l'occhio di pavone (Cicloconico), la carie o lupa detta "incipollimento".
In alcuni anni la violenza di questi parassiti era tale da annullare la produzione d'olio, si ricorda la stagioni del 1905-1935-1937 dove la Mosca olearia e del Fleotripide o Triplice furono davvero devastanti, tra i contadini delle zone di Pescia, Uzzano e Massa e Cozzile, tanto da fare storia; addirittura molti tecnici del settore si trovarono spiazzati dalla virulenza dei parassiti.
I mezzi allora disponibili per combattere questi parassiti erano vani e spesso si arrivava a metodi drastici (addirittura al taglio imparte della pianta), la si chiamava tagliare a "forca", si praticava sulle fronde attaccate dai parassiti.
In alcuni casi si poteva ricorrere alla "raschiatura" del tronco dell'ulivo in modo da impedire agli insetti di trovarvi rifugio, poi questa parte raschiata vi era applicato del "ramato" (una poltiglia di soluzione di solfato di rame e calce).

 

                           

Tipico oliveto coltivato a terrazzo, i teli vengono posizionati longitudinale. 

 

 


 

 

Tipi di coltivazione dell'olivo in Valdinievole

 

 

La coltivazione dell'olivo sulle nostre colline assumeva, talvolta, carattere pionieristico, infatti, esse sorgevano in zone che prima di allora erano boscaglia, e spesso in posizioni disagiate. La maggior parte degli oliveti in queste zone sono chiamate "terrazzati" il che vuol dire, che sono formate da strisce più o meno larghe di terreno e di solo situati in pendenza, di regola per ettaro di terra vi si coltivava dai 600-700 piante. Mentre per zone più impervie s'impiantavano nel modo detto "lunette" o "ciglioni" qui il terreno occorrente alla pianta era posto artificialmente, la terra era sostenuta e fermata con l'aiuto di sassi o pietre, che solo i vecchi coltivatori riuscivano a realizzare.
Per entrambe le coltivazioni che siano a terrazza, lunetta o ciglioni dovevano essere curati; soprattutto per le zone piovose, onde evitare frane o smottamenti del terreno verso valle.
Intorno al 1930 in Valdinievole la coltivazione dell'olivo era pari a un milione, circa la metà della produzione dell'olive era data in sorte e trasformata in olio, solo una minima parte destinata alla produzione da mensa. Alcune vecchi ricette per la preparazione "dell'olive in guazzo" o "indolcite".

 

                                  

Oggi la raccolta avviene con mezzi meccanici, come vediamo dalla foto, viene impiegato una manina retta da un bastone in cui passa dell'aria e fa muovere le due manine, facendo cadere l'oliva. Con l'aiuto di reti di nailon vengono raccolte molto più velocemente.

 


 

 

La svolta della tecnica di coltivazione dell'olivo (intorno agli anni trenta)

 


Durante gli anni trenta si comincia a costituire delle assemblee, dove, ai contadini erano impartite delle lezioni di coltura dell'olivo. I luoghi dove si svolgevano queste riunioni e i corsi erano generalmente nelle parrocchie, ma anche nella "Casa del fascio".
In pratica vi veniva date le prime nozioni di potature, nuove tecniche erano stati ideati dal prof. Roventini o del prof. Tonini. Il primo sistema quello di Roventini si sviluppo soprattutto nelle nostre zone, mentre il secondo sistema era praticato nelle zone litorali toscane. Invece prima le potature erano fatte "a vaso" o "a limone", "a paniere", o a "stroncatura", quest'ultima molto antica.
Grazie alla nascita della Regia Scuola Pratica d'Agricoltura che fu fondata per iniziativa del comune di Pescia intorno al 1909, divenuta poi Regio Istituto Tecnico Agrario Vittorio Emanuele II specializzato in olivicoltura e oleificio. Molti dei docenti illustri come i prof. Martinelli, Bracci, Roti, Valleggi, Lucchetti e Andreucci, hanna contribuito moltissimo per favorire il vivaismo della valdinievole.
Dal registro del catasto del 1929 sappiamo che vi erano ben 74 vivai in tutta la Valdinievole, e nel solo, territori di Pescia ne esistevano 64, anche l'attività dell'esportazioni risultò fiorente fino al 1950.
Nuove tecniche si svilupparono anche nella direzione dei fertilizzanti chimici e contro i parassiti, senza dimenticare dei nuovi mezzi per la raccolta, ma di questo, ne parleremo più avanti.
All'inizio la concimazione era sufficiente, il letame veniva preso dalle fattorie dei paraggi, ma ben presto non basto più, allora si incomincio a utilizzare degli scarti di tipo organici prodotti dalle varie industrie del territorio, come, La "peluria" di lana che veniva raccolta dalle vicine lanifici pratesi, i "carnicci" che erano i residui di cuoio, presi dalle numerose concerie presenti a pescia, si usava anche i "tappi" ricavati da residuo della lavorazione delle borre di cartucce da fucili da caccia. Inoltre si utilizzava anche le "crisalidi" dei bachi da seta, dalle molte filande del pesciatino.