BUDDISMO E AMBIENTE
"Tutto nell’universo è vivo. Tutte le cose nascono e muoiono, sono entità di Myoho, la Legge mistica: myo è la morte di una stella, ho la sua nascita.
Anche considerando solo l’aspetto materiale, la materia proiettata nell’universo dalla morte di una stella verrà impiegata per dar vita a nuove stelle o ai corpi degli organismi biologici. Forse anche gli atomi che compongono il nostro corpo un tempo brillavano come parti di una stella.
Gli esseri umani sono figli delle stelle, dell’universo. La nostra vita è identica alla grande vita dell’universo. I benefici di Nam Myoho Renge Kyo sono, letteralmente, gli inesauribili benefici di tutto l’universo…(D. Ikeda, La Saggezza del Sutra del Loto 3, Esperia edizioni, Milano, 2001)
Viene qui riportato, quasi interamente, l’articolo di Shuichi Yamamoto (Professore della Soka University di Tokyo): "Il contributo del Buddismo al pensiero ambientale", contenuto nella rivista DUEMILAUNO nr. 77, novembre/dicembre 1999 (organo ufficiale dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai).
"Nel Buddismo il modo di percepire la natura dipende dal modo di riconoscere la verità, un importante fattore nella formazione di giudizi etici e di valore. Vorrei innanzitutto schematizzare, riguardo a ciò, l’analisi di Yoichi Kawada nel suo lavoro L’ambiente globale e il pensiero buddista (traduzione non ufficiale) (1994) così come da altri.
IL CONCETTO DI RELAZIONE BASATO SULLA DOTTRINA DELL’ORIGINE DIPENDENTE
Il pensiero buddista spiega la realtà fenomenica in base al concetto di origine dipendente (engi/giapponese). Quella che segue è una definizione di tale principio, che compare originariamente nelle scritture del Buddismo antico. "Se questo esiste, quello esiste. Se questo è nato, quello è nato. Se questo non esiste, quello non esiste. Se questo scompare, anche quello scompare". Questo brano indica che nulla esiste né viene generato indipendentemente dal resto, piuttosto l’esistenza di qualsiasi cosa dipende unicamente dalle sue relazioni con tutti gli altri fenomeni.
Il Buddismo insegna che ogni entità non può esistere indipendentemente da ciò che la circonda perché tutti i fenomeni dell’universo sono interdipendenti fra di loro.
La dottrina dell’origine dipendente include le relazioni fra fenomeni a livello sia spaziale (esistenza ontologica) che temporale (cambiamento).
Nell’ottica della dottrina dell’origine dipendente, la visione della natura e dell’ambiente si avvicina molto alla moderna teoria ecologica. Ogni cosa è connessa in qualche modo. A causa di ciò, aspetti come la bio-diversità e la simbiosi fra esseri viventi sono indispensabili nel mantenimento del nostro mondo. La dottrina dell’origine dipendente sta alla base di ogni altro principio filosofico buddista.
FONDAMENTALE EGUALITARISMO DELLA BIOSFERA: ESSERI UMANI, ESSERI VIVENTI E NON VIVENTI.
IL modo di concepire gli esseri umani, gli altri esseri viventi e quelli di non viventi ha importanti implicazioni sull’etica ambientale. Nel Buddismo gli esseri umani, gli altri esseri viventi e il mondo inanimato sono fondamentalmente uguali dal punto di vista della vita. Con "punto di vista della vita" non si intende qui l’uso comune che si fa della parola "vita", ma ci si riferisce all’energia fondamentale che sta alla base di tutti gli esseri viventi. Il Buddismo spiega come questa energia fondamentale, che può essere chiamata "vita", esiste potenzialmente anche in ciò che non è comunemente riconosciuto come vivente.
In accordo con quanto scrive Hjime Nakamura nel suo Esplorando gli animali nel Buddismo (traduzione non ufficiale) (1988), sin dall’antichità gli indiani non facevano alcuna distinzione fra esseri umani e animali. Il termine "esseri viventi" li comprendeva entrambi. Nel pensiero etico dell’India esseri umani e animali sono in rapporto di reciprocità, e il concetto di "esseri viventi" comprende tale reciprocità. Nakamura evidenzia inoltre che la frequenza di storie di animali eroi è una caratteristica unica delle scritture buddiste.
Nel Buddismo cinese e giapponese "persino le piante, le montagne e i fiumi possiedono la natura di Budda"(0). La natura di Budda è quindi una proprietà non solo degli esseri umani e degli animali, ma anche di piante, monti e fiumi, e ciascun essere può ottenere l’Illuminazione. Proprio dal fatto che ogni essere partecipa alla natura di Budda deriva che essi devono essere considerati con pari dignità.
(0) Questa teoria è chiamata "Somoku-Jobutsu, Somoku-Kokudo-Sikkai-Jobutsu" o "Hijo-Jobutsu" che in giapponese significano rispettivamente che l’erba e gli alberi possono ottenere la Buddità; che le piante e la terra possono divenire Budda, e che gli esseri insenzienti possono divenire Budda. Non c’è differenza fra esseri senzienti e non-senzienti, perché tutti hanno la natura di Budda.
Nel Buddismo indiano, al contrario, solo gli esseri umani e gli animali, definiti "esseri senzienti" (u-jo), possono ottenere l’Illuminazione. Tuttavia, nelle scritture buddiste è scritto che il monaco Gotama evitava accuratamente di danneggiare semi e vegetali in genere. Da ciò si può dedurre che la visione del Budda comprendeva la dignità delle piante e dei semi.
Ciò che appare nel mondo fenomenico attraversa diverse fasi. Il Buddismo riconosce le differenze esistenti nel mondo fenomenico attraverso una coppia di categorie: gli esseri senzienti (u-jo) e gli esseri insenzienti (hi-jo). La differenza sta nel fatto che un essere senziente possiede sensazioni, o anche una coscienza. Come si è già visto, nell’antica India si indicavano come esseri senzienti gli esseri umani e gli animali, mentre come insenzienti le piante e gli organismi non viventi. Dal punto di vista della moderna ecologia è più corretto considerare i vari tipi di esseri, animali, piante e organismi non viventi, senza fare distinzioni semplicistiche di categorie.Un altro concetto utile per descrivere gli esseri viventi e non viventi è la dottrina buddista dei tre regni dell’esistenza (san-seken). Questo principio mostra l’illusorietà delle distinzioni concettuali fra i diversi fenomeni. I tre regni dell’esistenza (san-seken) consistono nel regno dei cinque aggregati (go-on-seken), il regno degli esseri senzienti (esseri viventi: shujo-seken), e il regno degli esseri insenzienti (ambiente, kokudo-seken). Il regno dei cinque aggregati consiste di : materia (forma: shiki-un), percezione (ju-un), concezione (sou-un), volizione (gyo-un) e coscienza (shiki-un). La materia indica la dimensione materiale della vita, mentre percezione, concezione, volizione e coscienza indicano la dimensione psichica. La percezione sta ad indicare la funzione di ricevere ed elaborare informazioni provenienti dal mondo esterno attraverso gli organi di senso. La concezione riguarda il formarsi di idee e concetti su ciò che viene percepito. La volizione indica la volontà di intraprendere azioni sulla realtà di cui ci si è formati un’idea in base a ciò che si è percepito. La coscienza, infine, indica l’entità soggettiva che sostiene e integra gli altri quattro aggregati e consente di discernere e di formulare giudizi di valore sulla realtà. Il regno degli esseri senzienti si basa sul fatto che i cinque aggregati della vita, uniti temporaneamente, formano uno specifico essere vivente. Il modo in cui i cinque aggregati si uniscono a formare un essere vivente è la causa delle differenze individuali dei vari organismi. Ad esempio, mentre negli esseri umani sono distinguibili tutti e cinque gli aggregati, negli esseri insenzienti solo la materia è evidente, mentre gli altri quattro sono latenti. Nel regno animale, mentre la materia si manifesta invariabilmente, i quattro aggregati che riguardano la dimensione psichica si manifestano diversamente a seconda del tipo di animale. Infine nelle piante ci possono essere alcune attività che potremmo chiamare "psichiche" in quanto non si concretizzano chiaramente nella sola dimensione materiale. Queste sono le differenze fra forme di vita così come le descrive il Buddismo.
UNA VISIONE AMBIENTALE NEI CONCETTI DI NON-DUALITA’ FRA VITA E AMBIENTE E DEI TRE REGNI DELL’ESISTENZA
Se pensiamo al problema ambientale, la relazione fra vita, come soggetto, e il suo ambiente, è molto significativa. Un "ambiente" può essere definito solo in base a un soggetto corrispondente. Riguardo a tale relazione, nel Buddismo si parla di non-dualità di vita e ambiente (e-sho funi). E-sho è una contrazione dei termini giapponesi e-ho e sho-ho. La sillaba ho significa qui "effetto manifesto", il risultato del karma. Sho-ho indica la vita in sé stessa o il mondo soggettivo, e-ho indica l’ambiente inanimato, o il mondo oggettivo. Il mondo oggettivo e quello soggettivo sono concetti relativi: l’ambiente assume un significato diverso in base al soggetto che lo abita.
L’effetto del karma passato di un singolo essere vivente si manifesta sia a livello di esistenza soggettiva che di ambiente oggettivo. Il termine funi significa "due nei fenomeni ma uno nell’essenza", quindi e-sho funi si può tradurre : "la vita e il suo ambiente sono fenomeni distinti ma uniti a livello della loro essenza fondamentale". Il soggetto e il suo ambiente coesistono, o sono coerenti, a causa del loro karma comune.
Il concetto dei tremila regni in una (singolo istante di) vita (ichinen-sanzen) è fondamentalmente una filosofia buddista della vita. Tale filosofia fu sviluppata dal filosofo buddista cinese T’ien-t’ai (Tendai Chi-gi*) sulla base dei principi sulla vita esposti da Shakyamuni soprattutto nel Sutra del loto. Il termine "una vita" (ichinen) indica che in un singolo istante di vita esistono contemporaneamente "tremila regni" (sanzen-seken), i vari aspetti e fasi che la vita assume. Questo concetto può essere applicato a qualsiasi fenomeno in cui la vita si manifesta. Il numero tremila si ottiene moltiplicando i dieci mondi (jikkai), il loro mutuo possesso, i dieci fattori (ju-nyoze) e i tre regni dell’esistenza (san-seken).
La vita di ogni persona ha una tendenza di base o una forte inclinazione verso uno dei dieci mondi, i dieci stati della vita descritti come inferno (jigoku), Avidità (gaki), Animalità (chikusho), Collera (shura), Umanità (nin), Estasi (ten), Apprendimento (shomon), Realizzazione (engaku), Bodhisattva (bosatsu) e Buddità (butsu). Il mutuo possesso dei dieci mondi (jikkai goku) significa che ciascuno dei dieci stati vitali contiene il potenziale per esprimere sia se stesso che gli altri nove. Come risultato di ciò, la vita può manifestarsi in cento mondi diversi.
I dieci fattori (ju-nyoze) descrivono il modo in cui la vita cambia. Essi sono: Aspetto (nyoze-so), Natura (nyoze-sho), Entità (nyoze-tai), Potere (nyoze-riki), Influenza (nyoze-sa), Causa interna (nyoze-in), Relazione (nyoze-en), Effetto latente (nyoze-ka), Effetto manifesto (nyoze-ho) e la loro Coerenza dall’inizio alla fine (nyoze-hommatsu-kukyoto).
In un singolo momento la vita contiene quindi cento mondi e mille fattori. Tutti gli esseri viventi possiedono i dieci fattori e manifestano i dieci mondi. Il principio dei tre regni dell’esistenza analizza ulteriormente la vita a tre livelli differenti e spiega le differenze individuali delle forme di vita.
In precedenza abbiamo già accennato a due dei tre regni: il regno delle cinque componenti (go-on seken) e il regno degli esseri senzienti (shujo seken). Il regno degli esseri insenzienti (kokudo seken) supporta l’esistenza stessa della vita. Così, anche l’ambiente possiede i dieci mondi corrispondenti agli stati della vita, dall’Inferno alla Buddità. Una delle conseguenze della dottrina di ichinen sanzen è l’inseparabilità fra la vita e il suo ambiente. Questo è il significato del fatto che la vita possiede in un istante tremila regni.
Analizzando il concetto di non-dualità fra vita e ambiente, osserviamo che il mondo soggettivo possiede le duemila condizioni dei regni delle cinque componenti e degli esseri senzienti, mentre l’ambiente oggettivo include le mille condizioni del regno dell’ambiente. Se una vita in un singolo istante contiene tutti e tremila i regni descritti, ne consegue che non separazione fra quella vita e il suo ambiente. In altre parole, la vita di un individuo si riflette nel mondo circostante, e il mondo stesso è coerente con l’esistenza individuale. Un maestro buddista giapponese, Nichiren, esprime questa relazione con le seguenti parole: "Non esiste realtà oggettiva senza realtà soggettiva; la realtà soggettiva proviene dalla realtà oggettiva".
In ecologia, l’azione esercitata sull’ambiente viene definita "effetto sulla formazione dell’ambiente", mentre l’effetto dell’ambiente sull’individuo viene definito "effetto ambientale". Da un punto di vista fisico, questi due tipi di effetti sono equivalenti alle due espressioni contenute nel brano di Nichiren citato. Il concetto di tremila regni in un singolo istante di vita e di non-dualità fra vitae ambiente sono importanti per comprendere che il cambiamento nell’individuo produce un cambiamento nel suo ambiente.
A causa della non-dualità fra vita e ambiente, un miglioramento del karma dell’individuo provocherà
inevitabilmente un miglioramento nel suo ambiente. Questo è il principio buddista che spiega come
arrecare beneficio all’ambiente.
L’umanità e il suo ambiente cambiano in relazione reciproca in base a uno schema continuo del tipo:
attività umana=>effetto sulla formazione dell’ambiente=>cambiamento ambientale=>azione ambientale=>reazione umana=>correzione umana.
L’umanità e il suo ambiente esistono insieme e cambiano l’uno in relazione a l’altro biologicamente,
culturalmente, socialmente, e in tutte le altre dimensioni della vita.
L’AMBIENTE DAL PUNTO DI VISTA DEL KARMA
Nella scuola della coscienza sola (si dice che il suo principale esponente, Vasubandhu, abbia scritto mille libri, cinquecento dei quali appartengono al Buddismo hinayana, mentre gli altri cinquecento sono propriamente del Buddismo mahayana. Gli insegnamenti mahayana esposti da Asanga e Vasubandhu sono chiamati scuola Yogacara), in cui viene particolarmente approfondita la psicologia buddista, le funzioni spirituali della percezione e del discernimento sono classificate in cinque coscienze (go-shiki) e otto coscienze (hasshiki). Le varie funzioni spirituali sono distinte nelle cinque coscienze, la sesta coscienza (roku-shiki o i-shiki), e ulteriori due livelli di coscienza più profondi e inconsci: la settima (la coscienza manas, nana-shiki o mana-shiki) e l’ottava (la coscienza alaya, hassiki o haraya-shiki).
T’ien-t’ai chiarisce che esiste un’ulteriore area della coscienza, la nona (la coscienza fondamentalmente pura, kushiki, amara-shiki o konpon-joshiki), situata a un livello ancora più profondo dell’ottava coscienza. Le prime cinque coscienze corrispondono ai cinque sensi: vista, udito, olfatto, gusto e tatto. La sesta coscienza comprende le funzioni percettive della mente, grazie alle quali vengono integrate le percezioni provenienti dai sei sensi in immagini coerenti e vengono formulati giudizi sul mondo esterno. La coscienza manas corrisponde all’inconscio individuale residente nella profondità della psiche, nel quale dimorano l’impulso sessuale di cui parla Freud, i desideri e le passioni rimosse dall’ego dopo la nascita e i desideri malvagi (bonno): avidità (ton), collera (jin), stupidità (chi), a cui possono essere aggiunti arroganza (man) e dubbio (gi).
La coscienza alaya, residente a un livello più profondo rispetto alla coscienza manas, contiene l’inconscio familiare, come lo definisce L. Szondi, l’inconscio collettivo, così come è descritto da C.G.Jung, o in altre parole il karma positivo e negativo accumulato in passato. Il karma negativo diviene una legge inquinante che causa il manifestarsi del potere distruttivo della vita, dovuto all’ignoranza dell’esistenza della vera natura (mumyo). Il karma positivo diviene pura legge e si manifesta nel potere creativo della vita e nella compassione (jihi).
Dal punto di vista del concetto buddista di karma, l’ambiente è considerato il risultato dei semi karmici (go-shuji) residenti nell’ottava coscienza. Tali semi karmici appartengono sia al karma individuale (fugu-go) che a quello collettivo (gu-go). I concetti di karma individuale e karma collettivo, o condiviso, sono relativi; infatti, il karma condiviso cambia in accordo con i cambiamenti dei soggetti coinvolti.
Nell’Abhidharma-nyayanusara (Junshori-ron) è scritto che "le montagne, i fiumi, la terra e tutto il resto traggono origine dal karma collettivo, gli esseri senzienti invece traggono origine dal karma individuale".
Gli esseri umani nascono a causa del karma individuale, mentre il loro ambiente naturale è prodotto dal karma in comune. Il risultato è che il mondo interiore degli individui è connesso con l’ambiente naturale a livello della coscienza alaya (ottava). Il miglioramento del karma individuale migliorerà l’ambiente a causa del karma collettivo.
Questo è il principio che mostra come l’ambiente possa essere cambiato e migliorato.
UNA VISIONE DELLE CINQUE IMPURITA’ DALLA PROSPETTIVA DEL TEMPO
Nel Buddismo l’idea di Saddharma-vipralopa (Mappo), uno dei tre periodi della propagazione, indica che il mondo attuale è divenuto una società malvagia inquinata dalle cinque impurità (go-joku) a partire dai duemila anni dopo la morte del Budda Shakyamuni.
Le cinque impurità sono: l’impurità dell’epoca (ko-joku), l’impurità delle coscienze (ken-joku), l’impurità del desiderio (bonno-joku), l’impurità degli esseri viventi (shujo-joku) e l’impurità della durata della vita (myo-joku).L’impurità dell’epoca riguarda il momento storico e la società. Le impurità delle concezioni e del desiderio riguardano gli esseri umani, e si riferiscono al pensiero e alle azioni provocate da avidità, stupidità e collera, o dall’istinto. L’impurità degli esseri viventi sta a indicare che la loro sofferenza cresce a causa delle impurità delle concezioni e del desiderio. L’impurità della durata della vita significa che la durata della vita media comincia ad accorciarsi. Nell’Hokke Mongu T’ien-t’ai sostiene che si arriva all’impurità dell’epoca secondo il seguente ordine: l’impurità del desiderio, delle concezioni e della durata della vita relativi alla vita degli esseri umani; l’impurità degli esseri viventi; infine dall’impurità dell’epoca, dove l’oscurità sovrasta lo spirito dell’epoca (qui oscurità significa avidya (mumyo); lo spirito dell’epoca stesso non conosce la vera natura dell’esistenza).
L’ ETERNITA’ DELLA VITA E DELL’UNIVERSO
Nel Buddismo sia la vita che l’universo hanno un andamento circolare, e la trasmigrazione, il ciclo di nascita e morte, è assunto come dato di fatto. Il Buddismo spiega che l’universo ripete eternamente i quattro kalpa (shi-ko) della costruzione (jo), continuazione (juu), distruzione (e) e vuoto (kuu). Analogamente, il mondo attraversa le stesse quattro fasi. Ognuno dei quattro periodi consiste di un kalpa medio, suddiviso in venti piccoli kalpa (sho-ko) di durata inimmaginabile. La durata complessiva di un intero ciclo di quattro kalpa medi è chiamato grande kalpa. Il Buddismo spiega che la ripetizione di un grande kalpa avviene in modo ciclico per tutta l’eternità.
Il Buddismo insiste anche sull’eternità della vita. L’idea della trasmigrazione (rinne) e della rinascita (tensho) è largamente accettata in tutte le antiche religioni indiane. E’ stato detto che, durante l’ottenimento dell’Illuminazione, Shakyamuni ricordò le sue innumerevoli esistenze passate. Se si prescinde dal concetto dell’eternità dell’universo, il concetto di eternità della vita non può essere prontamente compreso, ed è quasi impossibile da confermare scientifi
camente. In altre parole, non possiamo concludere che il concetto sia totalmente sbagliato, anche se non può essere scientificamente provato.Gli aspetti del Buddismo in relazione al problema ambientale
Fino a questo punto abbiamo discusso i principi buddisti che hanno rilevanza sulla concezione dell’ambiente e della natura. Ora vorrei trattare da un punto di vista buddista i due temi seguenti:
Qual è il punto di vista del Buddismo sul problema ambientale?
Qual è la soluzione proposta dal Buddismo a questo problema?
IL PROBLEMA AMBIENTALE DA UNA PROSPETTIVA BUDDISTA: LA VISIONE AMBIENTALE BIO-CENTRICA
Ho descritto nelle sezioni precedenti le dottrine dell’origine dipendente, della non-dualità fra vita e ambiente e dei tre regni dell’esistenza, i quali spiegano il tipo di relazione che esiste fra l’individuo e il suo ambiente e dei tre dell’esistenza, i quali spiegano il tipo di relazione che esiste fra l’individuo e il suo ambiente. Queste dottrine hanno molte corrispondenze con il punto di vista della moderna ecologia. Gli esseri viventi e l’ambiente in cui essi vivono sono sempre stati considerati dal punto di vista dalla loro esistenza indipendente e separata. Tuttavia, dopo che J. Von Uexkull e G. Kriszat (1970) studiarono la stretta relazione fra gli esseri viventi e il loro ambiente, si rafforzò l’idea che l’ambiente degli esseri viventi dovesse essere considerato da un punto di vista bio-centrico. Oggi noi consideriamo la vita e il suo ambiente come una cosa sola e inseparabile. Sin da quando il problema ambientale è diventato critico per tutta l’umanità, la visione ambientale antropocentrica è stata riconosciuta come fattore importante dagli studi scientifici. Poiché il Buddismo sostiene un fondamentale egualitarismo nella biosfera, possiamo invece definire la sua visione ambientale non antropocentrica ma piuttosto bio-centrica.
Uno degli aspetti fondamentali del punto di vista bio-centrico è la comprensione dell’inseparabilità fra soggetto e ambiente, considerando quindi il significato che l’ambiente ha per il soggetto.
Dal punto di vista del Buddismo, la distruzione dell’ambiente non significa soltanto la distruzione della realtà fisica in cui vivono gli esseri umani e gli altri esseri viventi, ma anche la distruzione della realtà interiore e della vita stessa.
Considerando le teorie di esho funi e della coscienza-sola, la distruzione dell’ambiente implica la distruzione del sé, in quanto la realtà mentale comprende la coscienza alaya. L’effetto sulla coscienza alaya influenza inevitabilmente le coscienze più superficiali, come la coscienza manas (la mente profonda) e le sei coscienze di pensiero e organi di senso. Nell’esaminare l’effetto della crisi ambientale sugli esseri umani e sugli esseri viventi il Buddismo, spingendosi oltre la scienza, punta il dito sulla conseguente distruzione della mente e della realtà stessa della vita.
LE CAUSE DELLA CRISI AMBIENTALE DAL PUNTO DI VISTA BUDDISTA
Dal punto di vista scientifico, la crisi ambientale è dovuta al fatto che l’incremento quantitativo e qualitativo delle attività umane ha superato la capacità della natura di fornire risorse e di mantenere il suo equilibrio. Ciò è causato essenzialmente dall’aumento della popolazione e dallo sviluppo della scienza e della tecnologia.
In base alla teoria dei tre regni dell’esistenza e delle cinque impurità, il Buddismo individua nella crisi ambientale tre aree distinte e collegate: il sé, gli altri e l’ecosistema naturale. La prima corrisponde all’area del comportamento, del pensiero, della morale e dell’etica, dei valori e dei desideri; la seconda riguarda la cultura, l’educazione, la religione; la terza si riferisce agli animali, alle piante, ai microrganismi, alle montagne, ai fiumi, ai mari. Le cause della crisi ambientale partono dall’area del sé propagandosi nel sociale e nell’ecosistema, e da qui rimbalzano indietro agli altri per tornare di nuovo al sé. Per questo il modo di risolvere i problemi ambientali è ribaltare questo meccanismo di causa ed effetto: dal sé alla società alla natura.
Il Buddismo indica nel cambiamento del proprio modo di vivere, specialmente nelle aree dell’etica, dei valori e dello stile di vita, l’unica via per risolvere il problema ambientale.
Inoltre, indirettamente il Buddismo può influenzare una rivoluzione delle culture e dei sistemi sociali, così come della scienza, della tecnologia, della politica, dell’economia, della legge e così via.
La causa della crisi ambientale ha origine dalla liberazione dei desideri umani. Naturalmente il Buddismo considera ciò un problema. Ma afferma che la causa dei desideri è un problema che va affrontato a un livello più profondo della vita.
Principalmente l’origine dei desideri riguarda le cinque impurità: dell’epoca, del desiderio, degli esseri viventi, delle concezioni e della durata della vita, come abbiamo analizzato precedentemente. Le impurità dell’epoca (e della società) sono causate dall’impurità del desiderio e da quella delle concezioni, in cui sono compresi i pensieri negativi e i pregiudizi. Vasubandhu spiega che il desiderio e le concezioni sono causati dalla devozione al sé che si verifica nella coscienza manas, la radice dell’ego. L’attaccamento al sé (ga) è causato dall’amore per sé (ga-ai), dalla distorsione del sé (ga-ken), dall’orgoglio (ga-man) e dalla stupidità (ga-chi). Questi attaccamenti presenti nell’inconscio influenzano il comportamento delle persone. Il risultato è che il sé diviene avido rispetto ai propri attaccamenti. In poche parole gli attaccamenti si manifestano come devozione al mondo materiale percepito attraverso la vista, l’udito, l’odore, il sapore e il tatto filtrati attraverso le cinque coscienze sulla superficie della coscienza manas. Questi attaccamenti divengono devozioni verso idee fisse e falsi punti di vista, fattori direttamente connessi con la felicità.
Alla fine, questo tipo di devozione non porta affatto alla felicità. Piuttosto, più gli attaccamenti sono forti, meno si ottengono soddisfazioni e più si accumulano frustrazioni. La collera causata dalle frustrazioni diviene collera del sé, producendo sentimenti negativi e portando, alla lunga, a un comportamento malvagio. Questo avviene quando un individuo fa dell’attaccamento al sé una scelta di vita. Quando ciò avviene possiamo parlare di stupidità del sé. Individui che manifestano questa impurità della vita, causata dai desideri e dalle concezioni erronee, formano una società che sarà affetta dall’impurità degli esseri viventi e dall’impurità dell’epoca.
Concludendo, per il Buddismo la crisi ambientale ha la sua causa primaria nella devozione al sé, alimentata dai desideri impuri e dai falsi punti di vista.
La Soluzione della crisi ambientale consiste nell’abbandono di quella devozione del sé che ne è la causa.
Questo compito può apparire quasi impossibile, considerando che nella devozione al sé sono compresi desideri di base degli esseri viventi come quelli connessi alla conservazione dell’individuo e della specie. Proporre la pratica dell’ascetismo, così come fa il Buddismo antico, può sembrare irrealistico, o comunque inefficace se non nella eliminazione del sé stesso. E’ proprio qui che gli insegnamenti mahayana entrano in gioco.
Al posto dell’eliminazione del sé, il Buddismo mahayana insegna la via dell’integrazione fra il piccolo sé (shoga) con il grande sé (taiga) che abbraccia l’intero universo. Nell’integrazione con il grande sé, il piccolo sé viene trasceso attraverso l’unione con l’universo nell’area della coscienza alaya e sulla base della coscienza pura, la nona coscienza. Questo è il principio dei desideri terreni sono Illuminazione (bonno-soku-bodai). Ad esempio il sutra Fugen ( sutra Fugen o Kan Fugen Bosatsu Gyobo Sutra. Insegna la meditazione e la pratica attraverso l’esempio del bodhisattva Fugen) sostiene, in base a questo principio, che per ottenere il Nirvana, lo stato di felicità assoluta, non è necessario eliminare i cinque desideri (goyoku). Esso insegna la "pulizia" degli organi di senso, le "cinque radici" (occhi, orecchie, naso, lingua e corpo) dei desideri terreni e dei cinque desideri.Inoltre il sutra insegna che come risultato potremo evitare vari crimini inerenti ai desideri terreni. Da qui possiamo scoprire che la soluzione del problema ambientale è praticare la via del bodhisattva (bosatsu-do), la quale diviene una teoria pragmatica, o una teoria dell’azione, che può cambiare il punto di vista sulla vita e, con esso, lo stile di vita delle persone.
Lo spirito di base del bodhisattva è "indossare i panni del Budda" (nyorai-no-sitsu), le tre regole per la propagazione del sutra esposte nel decimo volume dell’Hossi-bon nel Sutra del Loto. Indossare i panni del Budda, sedere sul trono del Budda ed entrare nella stanza del Budda significano rispettivamente mantenere la pazienza (nin-niku), meditare sull’intangibilità dei fenomeni (kuu) e avere compassione (jihi) per gli altri. Pazienza significa affrontare incessantemente le pulsioni dei desideri terreni, praticare la dottrina del Budda senza temere per la propria vita (pratica di fushaku-shimmyo) e tollerare qualsiasi offesa. Meditazione sull’intangibilità dei fenomeni si riferisce alla saggezza del Buddismo espressa nel concetto secondo cui "tutti i fenomeni di questo mondo sono insostanziali", una teoria strettamente collegata a quella dell’origine dipendente, secondo cui i fenomeni sono tra loro inseparabili a causa delle relazioni che li legano. La compassione ci spinge a dare sollievo a tutti gli esseri viventi e a togliere loro sofferenza.
Dovremmo chiederci quale sia lo spirito di base del bodhisattva e cosa dovrebbe fare per risolvere il problema della crisi ambientale.
Per cominciare, la compassione del bodhisattva si estende con equanimità sia agli esseri viventi che agli esseri inanimati. L’azione compassionevole è diretta verso esseri umani, animali, piante e materia non-vivente, senza alcuna distinzione fra buoni e cattivi. In secondo luogo, la pazienza del bodhisattva diviene il potere principale nei confronti delle difficoltà, facendo della "soddisfazione attraverso piccoli desideri e piccole vittorie" (shoyoku-chisoku) la pratica attraverso la quale coltivare l’etica del controllo dell’avidità. Inoltre, attraverso la meditazione sull’intangibilità di tutti i fenomeni, il bodhisattva comprende il valore delle relazioni fra tutti gli esseri viventi e non viventi e diviene consapevole dell’importanza della coesistenza e della cooperazione fra tutti gli esseri. Infine, il bodhisattva dovrebbe coltivare la gratitudine e la determinazione a ricambiare il proprio debito verso l’ecosistema a cui ogni essere è mutuamente correlato.
Una persona che percorre la via del bodhisattva dovrebbe, prima di ogni altra cosa, abbandonare la devozione al sé e superare le passioni malvagie del sé. Guardando le cose dal punto di vista del grande sé, egli dovrebbe dare il suo contributo alla coesistenza e alla comune prosperità di tutti gli esseri, confrontandosi con le difficoltà che lo ostacolano in questo cammino. Oltre a ciò, dovrebbe migliorare le relazioni fra la società (il regno degli esseri senzienti) e la natura (il regno degli esseri in senzienti), lavorando sia a livello della coscienza che a livello dell’inconscio degli individui.
L’influenza sul pensiero ambientale e il moderno significato del Buddismo
L’INFLUENZA SUL MOVIMENTO DELL’ECOLOGIA PROFONDA
Dagli anni 70, soprattutto negli Stati Uniti, l’etica ambientale si è focalizzata su tre aspetti: l’antropocentrismo, il bio-centrismo e il movimento per i diritti degli animali.
L’antropocentrismo fa riferimento alla tipica visione dualista, e parte dal principio secondo cui va considerata soltanto la vita umana, essa è l’unica ad avere il diritto di esistere e la sola che può divenire un oggetto etico. Soltanto la vita umana è importante e ha un valore speciale, mentre gli altri esseri viventi hanno un valore potenziale, che si manifesta attraverso l’utilizzo umano. Il movimento per i diritti degli animali parte dal presupposto che gli animali andrebbero classificati secondo le loro capacità e, di conseguenza, quelli con capacità elevate hanno il diritto di esistere. Secondo il punto di vista antropocentrico, soltanto gli esseri umani hanno un’anima mentre secondo il movimento per i diritti degli animali questa prerogativa può essere estesa anche ad alcune forme di animali. Entrambi i punti di vista possono essere assimilabili al Cristianesimo, proprio perché stabiliscono il diritto di esistere in base al fatto di possedere un’anima, principio tipico di questa religione. D’altro canto l’ecologia profonda, che si fonda sul bio-centrismo, è più fortemente influenzata dal Buddismo. Vorrei quindi partire dalla visione dell’ecologia profonda e analizzare l’influenza del Buddismo.
Secondo C. Merchant (1992) e M. Morioka (1994, 1996), il movimento dell’ecologia profonda si è sviluppato a partire dal pensiero tradizionale americano sulla protezione della natura di R. W. Emerson, H. D. Thoreau, J. Muir, A. Leopold e altri, divenendo più religioso a causa dell’influsso del movimento della Nuova Scienza (la New Age). Nato sulla costa occidentale degli Stati Uniti tra gli anni 70 e 80, il movimento della New Age sostiene che dovremmo rivoluzionare il nostro modo di pensare puntando a una visione solistica del mondo basata sulla saggezza orientale (Taoismo e Buddismo) abbandonando la moderna concezione scientifica, ossia il meccanicismo, il riduzionismo e il dualismo di soggetto e oggetto.
Il movimento della new Age è stato diviso in tre aree: l’esperienza dello "sforzo della natura (kiko)", la psicologia transpersonale e il movimento ecologista, di cui una branca è l’ecologia profonda.
Il termine "ecologia profonda" fu coniato dal filosofo norvegese A. Naess nel 1972. credo che nel pensiero dell’ecologia profonda vi siano tre aspetti che influenzano la visione della natura e dell’ambiente. Prima di tutto essa considera la vita e gli esseri umani non come esistenze individuali ma come nodi di mutue relazioni a livello globale. Ciò significa il passaggio da una visione atomica del mondo a una relazionale. In secondo luogo adotta il punto di vista dell’"egualitarismo biosferico" considerandolo una regola, affermando che è inevitabile un certo grado di distruzione e soppressione di altre forme viventi da parte degli esseri umani. Infine sottolinea i principi della bio-diversità, importante per aumentare la probabilità di esistenza e per dare una possibilità allo sviluppo della vita, e della simbiosi, che è contro la distruzione e la soppressione di altri esseri viventi ma punta a coesistere e a cooperare con essi in un ecosistema complesso.
Inoltre l’ecologia profonda è divenuta più religiosa attraverso l’influenza del libro Ecologia profonda (1985) di B. Devall e G. Sessions.
Essi definiscono tale forma di pensiero come un tentativo di costruire una "visione del mondo religiosa e filosofica", insistendo sul fatto che la natura non è un oggetto di conquista da parte della razza umana, come crede invece l’umanità odierna. Secondo la loro concezione, dobbiamo riscoprire quella corretta visione del mondo secondo la quale gli esseri umani sono inseparabili dalla natura, perché vivono in essa e sono da essa sostenuti. E dobbiamo inoltre riacquistare la capacità di ascoltare le "voci della natura" e le "voci della terra". Alla domanda: "Come possiamo riformare il nostro modo di pensare?", i due filosofi fanno appello alla ricerca religiosa del sé e alla meditazione.
Attraverso la meditazione dovremmo non solo gettar via le errate visioni moderne del mondo, ma anche risvegliarci al nostro vero sé esistente in un mondo vitale organico, e rinnovare le nostre vite in senso più ecologico. Come risultato, essi affermano, potremmo essere in grado di proteggere veramente la natura e realizzare un mondo armonioso.
Gli obbiettivi fondamentali sono l’autorealizzazione – o realizzazione del sé- e "l’eguaglianza bio-centrica". L’autorealizzazione non consiste nello stabilire un sé moderno, ma nel rendere il piccolo sé (shoga) adulto nel mondo vitale organico, trasformandolo nel grande sé (taiga) che include gli esseri umani e tutte le altre forme di esistenza. Nell’"eguaglianza bio-centrica" tutte le forme di esistenza – viventi e non – hanno l’eguale diritto di compiere la propria autorealizzazione. Ad esempio una montagna ha il diritto di divenire una montagna (il diritto di realizzare la propria funzione di montagna) e un lupo ha il diritto di diventare un lupo.
La buddista J. Macy ha reso l’ecologia profonda più religiosa e più buddista, illustrando il suo pensiero nel libro Il mondo come amante, il mondo come sé (1991). Una delle sue idee è che gli esseri umani originariamente condividono la sofferenza, ossia sono dei bodhisattva. Un’altra è la sua visione del mondo come "conascita dipendente", espressione che corrisponde al principio dell’origine dipendente (engi). La filosofia sostiene anche che gli esseri umani possono comprendere la compassione (jihi) attraverso la meditazione, e materializzarla divenendo bodhisattva, l’ideale buddista per l’essere umano. Secondo il suo pensiero, "autorealizzazione" indica il "sé ecologico" (eco-sé), ossia il sé (ga) integrato con la natura e che si estende in essa, espandendosi a tutte le esistenze di passato, presente e futuro. L’eco-sé non considera l’idea di profitto o di obbligo morale nei confronti degli altri. Poiché l’eco-sé è integrato con la natura, considera soltanto l’auto-profitto, nel senso che ciò che è bene per l’ambiente è bene per il sé.
D’altro canto W. Fox (1990), nel testo Ecologia transpersonale, descrive l’ecologia profonda unitamente alla psicologia transpersonale. L’esperienza del sé, quando affronta l’ecologia profonda, attraversa tre stadi, che vanno dal personale all’ontologico fino al cosmologico. L’esperienza cosmologica supera definitivamente l’antropocentrismo.
Così l’ecologia profonda si sposta sempre di più verso una dimensione religiosa, soprattutto di tipo buddista. Questo movimento ha contribuito molto più delle esistenti scuole buddiste nel creare una consapevolezza ambientale.
L’INFLUENZA DEL BUDDISMO SUL PENSIERO AMBIENTALE
Il Buddismo non influenza solo l’ecologia profonda ma tutto il pensiero ambientale. Ad esempio il filosofo giapponese S. Ito, autore dell’opera in 15 volumi Civiltà e ambiente (1996), sottolinea che per risolvere il problema della futura crisi ambientale è necessaria una riforma del pensiero.
Poiché la crisi ambientale è alla radice di vari problemi contemporanei, secondo Ito dovremmo ricercarne le soluzioni in tutti i moderni paradigmi prodotti dalla rivoluzione scientifica del 17° secolo: la scienza, la tecnologia, la filosofia, l’etica, l’economia e la politica, e trasformare l’attuale civiltà basandosi sui risultati di tali analisi. A tale scopo propone le seguenti riforme:
-una riforma della scienza e della tecnologia attraverso la "rivoluzione sapienzale";
-una riforma della visione del mondo attraverso la "rivoluzione bio-mondiale"; -una riforma della civiltà attraverso la "rivoluzione umana".
Per prima cosa, la scienza non dovrebbe essere "conoscenza nell’interesse di sé stessa", in nome dell’investigazione della verità oggettiva. Quindi gli scienziati e i tecnologi dovrebbero diventare persone capaci – con la sapienza (saggezza) necessaria – di prevedere le influenze della conoscenza scientifica e tecnologica sugli esseri umani e sugli organismi viventi.
In secondo luogo, Ito spiega la necessità di considerare la natura dalla prospettiva del "bio-mondo", riconoscendo che lo spazio, la vita e la specie umana sono tutte entità viventi. Come esseri umani dovremmo accettare di essere solo una parte del "bio-mondo", e che ogni cosa ha lo stesso diritto di esistere. Dovremmo anche apprezzare la bio-diversità e riscoprire la nostra simpatia verso il "bio-mondo".
Sono sei le caratteristiche della visione della natura nella prospettiva del bio-mondo: il sistema solistico, l’interazione, l’autosistema, il sistema circolare, l’autoriferimento e la consequenzialità invece del dualismo. Il sistema olistico è un’interazione globale che non può essere ridotta a elementi, e che coinvolge non una semplice relazione reticolare come quella della dottrina dell’origine dipendente. Il concetto di interazione non si riferisce soltanto a ciò che accade all’interno del singolo corpo vitale ma anche alla relazione tra la vita e il suo ambiente, ossia l’intima mutua interazione tra essi. Il sistema circolare descrive la vita come un ciclo di nascita, crescita e morte. Dalla prospettiva del "bio-mondo", infine, la natura e gli esseri umani, o la materia e lo spirito, non sono considerati dualistici ma consequenziali in connessione con la vita.
La rivoluzione umana ha un ruolo fondamentale nel risolvere il problema della crisi ambientale. L’umanità dovrebbe spostare l’asse dell’attuale società verso una civiltà che consideri più importanti gli aspetti interiori e spirituali rispetto a quelli esteriori e materiali. Oltre a ciò, gli esseri umani si dovrebbero soddisfare di un guadagno contenuto, interrompendo il circolo vizioso di consumismo e produzione di massa, senza diventare schiavi di un desiderio senza limiti. La trasformazione della civiltà attuale avverrà attraverso la rivoluzione della scienza, degli esseri umani e della visione della natura.
Dividendo la storia umana nei cinque stadi di "rivoluzione della razza umana", "rivoluzione agricola", "rivoluzione urbana", "rivoluzione spirituale" e "rivoluzione scientifica", Ito definisce l’adozione della visione della natura nella prospettiva del "bio-mondo" come una "rivoluzione ambientale". Sebbene non colleghi direttamente il pensiero buddista a quello ambientale ne è certamente consapevole, come dimostra ad esempio la sua espressione che descrive la "relazione reticolare vista nella dottrina dell’origine dipendente".
PUO’ IL BUDDISMO DIVENTARE IL NUCLEO DEL PENSIERO AMBIENTALE?
Sebbene il pensiero ambientale di Ito e l’ecologia profonda non siano influenzati soltanto dal Buddismo, si può quanto meno affermare che le correnti teorie ambientali sono significativamente simili al Buddismo.
Possiamo ora riassumere gli aspetti principali del pensiero ambientale paragonandoli al pensiero buddista.
Le correnti teorie ambientali sono passate dall’atomismo alla concezione olistica e relazionale contenuta nella dottrina buddista dell’origine dipendente. Inoltre si sono aperte alla bio-diversità e all’importanza della simbiosi tra esseri umani e altre forme viventi.
E’ stata accolta la concezione dell’inseparabilità di esseri umani e natura, come mostrato nelle teorie buddiste della non-dualità di vita e ambiente (esho funi) e dei tre regni dell’esistenza (san-seken); inoltre il corrente pensiero ambientale ha adottato una visione ambientale biocentrica.
Vengono riconosciuti il valore immanente della natura e l’eguaglianza tra esseri umani e natura, come affermano le dottrine dell’origine dipendente e della natura di Budda.
La concezione della vita è passata da una visione meccanicistica a una teoria organica della vita, e viene considerata anche l’inseparabilità di corpo e mente, come è mostrato nelle dottrine buddiste dei tremila regni in una vita (ichinen-sanzen) e della non dualità di corpo e mente (shiki-shin funi).
Il corrente pensiero ambientale è passato da una concezione lineare a una concezione circolare, come è mostrato nelle teorie dei quattro kalpa (shiko) e della trasmigrazione della vita (rinne).
La "rivoluzione umana", soprattutto come atteggiamento mentale, è diventata importante nel risolvere i reali problemi della società. Vengono considerate le pratiche di "soddisfazione attraverso piccoli desideri e piccole vittorie" (shoyoku-chisoku) e di "saggezza dalla conoscenza", come mostrato nella via del bodhisattva e nella concezione del karma.
Di conseguenza, poiché l’attuale pensiero ambientale si è gradualmente spostato nella direzione del pensiero buddista, possiamo concludere che quest’ultimo ha ampie possibilità di diventarne il nucleo centrale.
E’ IL BUDDISMO UN EGUALITARISMO BIOSFERICO?
Anche se c’è una somiglianza a livello generale tra pensiero buddista e pensiero ambientale, vi sono comunque nel dettaglio punti differenti, come ad esempio nel concetto di "egualitarismo biosferico".
J.B. Callicott (1995), un seguace dell’"etica della terra" di A. Leopold, pone un criterio di giudizio etico sulla natura basandosi sull’intera comunità vitale e non sulle singole specie viventi. Secondo il suo pensiero, gli esseri umani fanno parte del gruppo animale all’interno del mondo naturale, e forme non viventi come mari, laghi, montagne, foreste e paludi hanno più valore dei singoli individui. Sottolinea inoltre che la vita di un individuo di una specie in estinzione conta più di una vita umana, che ha molti più esemplari, associandosi a E. Abbey che, allo scopo di salvare le specie in estinzione, afferma: "Ucciderei un essere umano piuttosto che un serpente". Callicot, quindi, considera l’egualitarismo biosferico come naturo-centrico.
Il Buddismo non è antropocentrico nello stesso senso del Cristianesimo, che stabilisce una barriera di sovranità tra gli esseri umani e le altre forme viventi, ma si basa sull’egualitarismo biosferico che riconosce esseri umani, esseri viventi e natura come consequenziali, come mostrato nella dottrina della natura di Budda.
Ma il buddismo comunque non è naturo-centrico. La teoria dei dieci mondi (jikkai) considera stati vitali come l’avidità (gaki) e l’animalità (chikusho), che sono di tipo animale, come condizioni vitali basse, inferiori a quella umana. Inoltre la possibilità di divenire un Budda non è data a forme viventi diverse da quella umana.
La religione è per la specie umana, non per le altre forme di esistenza. E’ quindi naturale, per essa, considerare prioritario l’essere umano. Si potrebbe allora considerare il pensiero buddista ambientale come "atropo-prioritario", basato su un "fondamentale egualitarismo biosferico" e sul "bio-centrismo".
Argomenti per il dialogo e la simbiosi nel movimento ambientale
La ricerca di una verità accademica non è ovviamente il mezzo per risolvere il problema ambientale, e d’altro canto la discussione sulla superiorità o l’inferiorità di un credo non è lo scopo della religione. L’obbiettivo principale è risolvere il problema ambientale. Se le religioni si chiudessero in se stesse e si arroccassero nei loro particolarismi, potrebbero nascere molti attriti e la simbiosi e il dialogo non avanzerebbero affatto, con un risultato assolutamente indesiderabile per gli esseri umani. Se vogliamo risolvere la crisi ambientale è importante che le religioni non solo condividano argomenti e metodi, ma trovino insieme la soluzione. Proprio qui si può vedere l’importanza del dialogo e della simbiosi.
Possiamo discutere qui su cosa sia necessario affinché il Buddismo sia in grado di aprire un dialogo e vivere simbioticamente assieme alle altre religioni. La discussione su questo tema è un tentativo di risposta alla domanda avanzata da H. Kato (1996): "E’ necessaria una dimensione religiosa per risolvere la crisi ambientale?".
Il problema è che il pensiero ambientale di una religione è fortemente legato alla struttura della relativa dottrina, molto difficile da modificare. Le caratteristiche di una religione sono quindi estremamente differenti dagli studi scientifici.
Forse non è dal punto di vista religioso che il Buddismo ha influenzato il pensiero ambientale fino ad ora. In questo articolo, pur avendo utilizzato dottrine e concetti buddisti, abbiamo verificato che essi sono basati su idee provate scientificamente o logicamente consistenti. Io ho scritto quest’articolo con l’intenzione di parlare soltanto in termini "comuni", escludendo il più possibile dottrine e concetti religiosi incomprensibili scientificamente. Ma più il Buddismo influenzerà profondamente il pensiero ambientale, più saranno necessari giudizi etici e di valore. Allora, pur se importanti all’interno della struttura dottrinale del Buddismo, potranno nascere alcuni problemi nell’usare (in campo ambientale) concetti come il karma, la trasmigrazione, la teoria della natura di Budda e così via.
La base di tali dottrine è empirica, non scientifica. Questioni quali: "Esiste veramente il karma?", "Può la vita veramente trasmigrare?", "Esiste davvero la natura di Budda?" sono impossibili da verificare oggettivamente, almeno per il momento, e ci sono poche probabilità che possano essere verificate in futuro.
Oltre a ciò, per i buddisti moderni è impossibile sviluppare e verificare questi principi, perché si basano su esperienze religiose e intuizioni di grandi buddisti del passato. Oggi non abbiamo la metodologia per investigare empiricamente su queste dottrine buddiste, e dobbiamo affermare quindi che esse sono un credo.
Ciò non è sorprendente, perché ogni religione si basa su un forte credo senza prove scientifiche. Nel caso del Cristianesimo, l’esistenza di Dio e la marcata differenza tra esseri umani e altri organismi viventi corrispondono a questo forte credo. Quando si intrattiene un dialogo e si vuole creare una simbiosi con altri movimenti, se si usa il pensiero ambientale basato sul proprio credo non ci sarà possibilità d’incontro ma si procederà su linee parallele. Questo accadrà perché, sebbene ciascuno non possa rinnegare il punto di vista dell’altro, non potrà neanche sostenerlo. Quindi nessuno si accetterà reciprocamente.
Quando i movimenti ambientali basati sulla religione o sul misticismo esprimono il loro pensiero, dovrebbero evitare di usare termini religiosi o mistici propri dei loro movimenti e sostituirli con termini scientifici, per avere un linguaggio comune con la scienza. Facendo così, la religione e il misticismo potrebbero costruire un terreno di dialogo e di simbiosi con altri per risolvere la crisi ambientale.
L’ecologia profonda è un concetto mistico che ha ricevuto forti influenze dal Buddismo e dal Taoismo, e può quasi essere definito una religione. Come illustrato precedentemente nel pensiero di Macy, l’identificazione con il sé esteso alla natura, in una dimensione religiosa, si ottiene attraverso la meditazione. Per raggiungere questo speciale stato di consapevolezza è necessaria l’acquisizione del concetto di "auto-profitto" senza obblighi morali verso gli altri. Il punto chiave dell’ecologia profonda consiste nella domanda: "Se non si ha tale consapevolezza, possiamo noi simpatizzare con la natura e riconoscerne il valore?". Ma se così fosse, coloro che seguono questa disciplina diventerebbero esclusivisti e autolegittimati, considerandosi gli unici veramente "profondi", mentre gli altri sarebbero "superficiali". E questo non significa che le persone che militano costantemente nei movimenti di protezione della natura abbiano bisogno di un particolare training religioso per simpatizzare con l’ambiente e agire nel movimento. Basta pensare che una gran parte della natura è stata distrutta dagli esseri umani, ed è necessario proteggerla da un ulteriore scempio.
Sebbene i principi che sostengono la pratica religiosa siano propri di ciascun credo, il comportamento degli individui non sembra essere molto diverso. Ad esempio il comportamento degli esseri umani è piuttosto simile nella pratica buddista della compassione (jihi), che è la via del bodhisattva, e nella pratica dell’amore nel Cristianesimo e in altri movimenti.
Ma questo significa che la religione perde la sua importanza nel risolvere il problema della crisi ambientale? Non è necessariamente vero.
Le azioni compiute da una religione sono usualmente accompagnate da una motivazione religiosa.
Ad esempio. Nel caso del Buddismo, risolvere il problema ambientale significa abbracciare la via del bodhisattva, e il praticante è motivato dalla missione religiosa di sollevare gli esseri umani da questa sofferenza.
In questo caso la missione religiosa favorirà la pratica basata sulla compassione (jihi), la pazienza (nin-niku) e la meditazione sui fenomeni intangibili (kuu), abbandonando la devozione al sé (ga). E’ in quest’ambito che la religione è importante relativamente alla crisi ambientale.
E’ necessario, per le istituzioni religiose, discutere pienamente teorie e concetti all’interno della propria organizzazione. Attraverso queste discussioni interne saremo in grado di creare un vero dialogo e mantenere la simbiosi con le altre religioni.
C'è una sola Terra
Ichinen Sanzen
Nam MyoHo Renge Kyo
Le Cinque Impurità
IMMAGINI.
Le immagini sono elencate dal titolo. Alcune sono state modificate dall’originale.
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